martedì 23 luglio 2013

Una storia di ordinaria 'normalità'

Lo chiameremo Marco, un ragazzo di 36 anni alle prese con il mondo del lavoro dall'età di 19 anni. Chiunque penserebbe che in un paese 'normale', dopo poco meno di 20 anni di lavoro, chiunque meriterebbe la stabilità necessaria per costruirsi una vita e una famiglia, l'Italia non è uno di questi paesi.
Tralasciando le precedenti, giovanili esperienze lavorative del nostro Marco concentriamoci su quello che è accaduto da 5 anni a questa parte.
Inizia tutto con un lavoro a tempo determinato, qualche mese di lavoro e risottoscrizione di un altro contratto, tutto normale perché, nonostante tutto, il lavoro non manca. Saltando da un impiego ad un altro finalmente giunge una proposta interessante da parte di una multinazionale, un contratto inizialmente con un'agenzia di somministrazione di lavoro ma dopo poco sottoscritto direttamente con l'azienda(significa qualche euro in più in busta paga). La legge obbliga l'azienda, dopo 36 mesi di contratto lavorativo, all'assunzione a tempo indeterminato oppure alla risoluzione del rapporto di lavoro. Arriviamo così al 2011 , sono quasi 36 mesi e il nostro Marco vede cessare il rapporto di lavoro, causa crisi(giustificazione sempre valida, a prescindere dai volumi dei fatturati e dalle commesse).
Da allora si apre una spirale discendente, ormai tristemente nota a tutti: lavori saltuari, i contratti mensili si sono trasformati in contratti settimanali e nell'ultimo anno a chiamata.
Insomma la parola chiave è una sola: 'flessibilità' (che per molti coincide col termine 'precarietà')!
Fin ora si è parlato della parte quantitativa dei contratti, ma qual è la qualità di questi contratti? Gli ultimi contratti di Marco prescrivono una mansione diversa da quella effettivamente svolta, inutile specificare che la mansione contrattualizzata è meno onerosa per l'azienda rispetto all'effettivo incarico.
Insomma, per un generico lavoratore la situazione è più che tragica.
Per le aziende invece? La risposta è semplice, basta citare qualche dato degli ultimi giorni:
-pressione fiscale al 68,3%
-cuneo fiscale al 38,3% (per una coppia monoreddito con due figli, fonte OCSE)
Una domanda interessante è: alla quantità (record in europa) di tasse versate all'erario corrisponde un effettiva erogazione di servizi all'impresa? Lascio ad altri l'onere della risposta!
Mentre i nostri politici affrontano questa situazione a colpi di indignazione per gli attacchi alla Kyenge, all'emergenze sul presidenzialismo e urgenze simili; come si comportano i nostri 'concorrenti'?
L'Austria pubblicizza presso le zone di confine la propria politica fiscale di agevolazione alle imprese, questo si aggiunge alla notoria 'convenienza' di investire su mercati dell'est.
Questa situazione che effetti sta avendo sulla società? 
Quello a cui stiamo assistendo e uno scambio 'osmotico' con i mercati dell'europa dell'est: in cambio di giovani validi e specializzati importiamo manovalanza non specializzata! Proiettando questo trend a 10 anni, forse anche meno, cosa vediamo all'orizzonte? Personalmente nulla di positivo, solo un serbatoio di braccia per mercati esteri sviluppati(Germania in primis)!
Pensare che il comparto 'industriale'(o mini-industriale)sia slegato dalla  guida politica è stata un'idea fallimentare che grava sulle spalle dei partiti e dei politici che stanno sulla scena politica da almeno 20 anni a questa parte.
Invertire rotta è possibile? Il cambiamento è ancora auspicabile? Forse si, ma bisogna fare presto, ritorno alle urne subito!
Non ho volutamente inserire nomi e luoghi per preservare l'anonimato del protagonista di questo intervento
Perdonate la prolissità!
Al prossimo post, a presto!
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